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PERCHÉ SIAMO FINITI NELL’EPOCA DI BALLARD

Le atmosfere e le situazioni immaginate dallo scrittore inglese morto nel 2009 paiono fatte apposta per raccontare il lockdown che abbiamo appena vissuto e le sue conseguenze psicologiche, sociali e politiche.

Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell’immenso condominio nei tre mesi precedenti. Così inizia “Il Condominio” (High-Rise, 1975) di James Graham Ballard, anzi sono le prime tre righe di un incipit memorabile. Nato nel 1930 a Shangai, dove suo padre lavorava, dopo l’attacco a Pearl Harbor è stato internato con la famiglia in un campo di prigionia e solo nel 1946 è riuscito a tornare in Inghilterra. Ballard è stato un autore che ha dedicato un’attenzione spasmodica alla società in cui viveva. Studiava la sua epoca, percepiva le mode, i vizi, le tendenze e ne prevedeva la tossicità. Andava trent’anni avanti e riportava indietro, fedelmente, sulla carta, la vita indesiderabile e negativa e spaventosa, creata dal suo presente. Si potrebbe dire tranquillamente distopia, la descrizione di un futuro negativo, non desiderabile, ma per quel che mi riguarda Ballard è stato, prima che autore, studioso. Un sapiente, un indagatore, sia delle masse (società), che del singolo individuo. “Il Condominio” è questo, non la trama, seppur solida, senza nessun calo di tensione. La scrittura di James Graham Ballard è un tratto psicopatologico colto nello sguardo di un uomo al volante di una Jaguar. In pratica, un elegante grattacielo costruito secondo le più avanzate tecnologie, in grado di garantire l’isolamento ai suoi residenti ma che si dimostrerà incapace di difenderli da loro stessi. Come nella vita, Ballard ha sistemato i personaggi del suo romanzo per fascia di reddito: nei piani inferiori le persone più umili, al centro la middle class e, via via che si sale in altezza, sale anche la gerarchia sociale, fino a raggiungere gli attici, dove vivono i professionisti della city londinese. La scintilla che innesca la metamorfosi, da paradisiaca e efficiente struttura architettonica a inferno primordiale, è l’imprevista mancanza di elettricità. Da qui in poi, l’uomo muta, diventa aggressivo, violento, come in quasi tutti i condomini del mondo. Da “Crash”, pubblicato nel 1973, un regista estremo come David Cronenberg ha tratto l’omonimo film. Invece, Steven Spielberg ha portato sul grande schermo “L’impero del sole”.

Mario Terlizzi

 

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