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POESIA SOCIALE: UN MANIFESTO TRA I BUONI PROPOSITI PER L’ANNO NUOVO

Comincia un nuovo anno. La poesia sociale si carica di nuovi significati. Forte dei suoi contenuti, è partita sei mesi fa per Roma, con lo zaino in spalla e tanta fame di identità e contaminazione, sospinta da un’intuizione assai pericolosa per i tempi in cui viviamo: senza gli altri non siamo nessuno. Ha attraversato l’Italia intera, entrando in contatto con le più raffinate sensibilità, che ne hanno accresciuto il prestigio animando le serate capaccio-pestane del Festival che da lei prende il nome. Si è affacciata alle finestre del mondo, spalancate da un Premio letterario a lei dedicato e la cui cerimonia di premiazione si è tenuta lo scorso 16 dicembre presso l’ex Tabacchificio. Tra le adesioni, decine di autori stranieri hanno superato lo scoglio della lingua grazie al linguaggio universale delle arti. Comincia un nuovo anno e stavolta tra le mani non ho il solito elenco dei buoni propositi (quasi sempre disattesi) degli anni passati, ma un documento in cui diversi critici e giornalisti hanno riconosciuto il Manifesto ufficiale della poesia sociale. Sebbene sia stata io a scriverlo, non lo considero mio sul piano formale, in quanto è nato da uno scambio intellettuale con anime affini alla mia. Né lo considero mio dal punto di vista sostanziale, in quanto il Manifesto è diretta eredità della comunità cui appartengo, della sua storia e dei valori che mi ha trasmesso. Sicché lo restituisco a voi, lettori, come fosse un inusuale proposito, forse l’unico in cui lo sforzo del sacrificio è largamente compensato dalla gratificazione umana che nasce dall’impegno civile e dalla condivisione. Con l’augurio che ognuno di voi, letterato e non, possa farsi ogni giorno poeta sociale della propria esistenza.

Testo integrale del Manifesto Ufficiale della Poesia Sociale

“Interagire con le vite degli altri: è questo il senso dell’esserci. Lo stare al mondo richiede una continua attenzione verso tutto ciò che ci circonda, uno slancio d’amore universale funzionale al benessere del proprio Io. Quando il miglioramento delle condizioni di vita del singolo viene perseguito attraverso lo scambio della cura e della condivisione; quando, nel distogliersi dal proprio ego, ci si riscopre vivi nell’altro; allora l’altruismo può dirsi una forma d’amore per se stessi, e il termine egoismo assume un’accezione positiva. Noi, artisti o appassionati d’arte socialmente impegnati e operatori della cultura produttiva, fondatori di questo nuovo movimento culturale, malgrado le distanze generazionali  e la diversità di esperienze e provenienze, siamo legati da un comune sentire che si traduce nell’affermazione di una socialità in cui ciascuno è parte integrante di un insieme, l’aggregazione umana, vitalizzata da affinità artistiche, che si pone al centro dell’Universo, non per sostituirsi alle individualità ma per renderle parimenti protagoniste, curate, ascoltate, valorizzate e non compresse nelle nuove solitudini esistenziali, incrementate dalla socialità apparente, mediatica, tecnologica, che dev’essere colta come opportunità e non subita come un confinamento. È un Umanesimo contemporaneo, incentivato dalla funzione etica della poesia, forma d’arte che, più di tutte, ci mette in contatto diretto e immediato con le emozioni, per farne anche uno strumento di riflessione, di impegno civile e di denuncia delle nuove e vecchie forme di emarginazione e di disagio sociale. Per noi l’etica e l’estetica non sono due concetti disgiunti, sicché il poeta ha il dovere morale di prospettarci, attraverso l’arduo e appassionato lavoro di ricerca del gusto estetico e di affinamento del verso, la visione possibilistica di una bellezza che sia socialmente utile. Coltivare uno sguardo fiducioso e umano, per riabilitare, nei versi, l’amore, quando tutto intorno è guerra e distruzione. I muri non fermano il vento, è questo il nostro credo, noi affermiamo l’inconsistenza e la vacuità di ogni barriera, materiale e culturale, e ciò può essere compreso solo accettando la diversità come una ricchezza, senza cedere alla tentazione di ricorrere all’unicità per giustificarne l’esistenza. Perché essere “diversi” è di gran lunga migliore che essere “unici”, significa porre le basi di una convivenza civile sana ed equilibrata, in cui ognuno viene contaminato senza perdere i suoi tratti identitari. Significa proteggere la società dal rischio della omologazione, senza escludere nessuno. I nostri versi cantano il nostro essere tutti magnificamente di-versi, nessuno solo, relegato nella sua unicità, che dev’essere preservata appena nel suo significato filosofico-universale e non diventare una prigione o una forma di esilio concettuale. E nella misura in cui non è possibile per il vivere, a maggior ragione non può esserlo per lo scrivere. Non si scrive solo per se stessi. La vera poesia deve smuovere coscienze, cambiare la vita delle persone, muovere gli animi,  interpretare la realtà che ci circonda, liberare la parola dalle maglie degli slogan del potere, che ne fanno oggetto di strumentalizzazione,  e da quelle del provincialismo degli intellettuali di quartiere, che inficiano la produzione letteraria contemporanea con scritti e atteggiamenti sempre più autoreferenziali o autocelebrativi, e restituire la dignità della libera espressione artistica a una comunità  di anime sensibili che avrebbero molto di più da dare e da dire, se non venissero demotivate da  chi ha tradito la cultura, facendone un bene suscettibile di appropriazione in via esclusiva. Noi, poeti sociali, tra Marsia e Apollo inneggiamo al satiro. Al suo essere fallibile, sensibile, terreno. La sua siringa risveglia le primavere e sulle sue note le ninfe e le oreadi danzano vorticosamente, fondendosi alla natura. E una volta punito per aver osato, scarnificato, le sue membra diventano humus per altri canti che saranno spinti, ancora più forti, da zefiri e maestrali. Perché la bellezza utile della poesia sociale non sopisce mai e innamora l’eterno.

Milena Cicatiello

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