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PSICOLOGIA DEL LAVORO – WORK ENGAGEMENT: PASSIONE NEL LAVORO

Il compito principale della vita di ciascuno è dare alla luce sé stesso. In questo lungo processo di realizzazione personale il lavoro svolge un ruolo centrale. Trascorriamo la maggior parte del nostro tempo lavorando ed il lavoro influisce direttamente sulle nostre vite, migliorandole o inasprendole. Chi lavora con passione ed entusiasmo non solo sta bene con sé stesso ma incrementa le sue capacità relazionali e produttive. Un lavoratore si definisce “engaged” quando è coinvolto in ciò che fa, portando avanti le attività con entusiasmo così da produrre effetti positivi sia per la persona che per l’azienda. Le caratteristiche del lavoratore engaged sono il vigore, la dedizione e l’immersione. Tuttavia, anche le persone engaged sono stanche alla fine di una giornata lavorativa ma hanno la consapevolezza di aver fatto qualcosa di sensato e di valore. Il work engagement è inteso come il contrario del burnout. L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la sindrome del burnout come stress lavorativo che si manifesta in forma pervasiva nella vita delle persone che non sono in grado di sostenere il proprio carico lavorativo. Persone non engaged non sono soddisfatte da ciò che fanno, si sentono annoiate ed infelici, la loro giornata sembra non finire mai, non si sentono stimolate e sono distaccate mentalmente dal proprio lavoro. La sindrome del burnout, caratterizzata da un repentino decadimento delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali, è il risultato di un processo graduale che si sviluppa nel tempo. Nella maggior parte dei casi il burnout si sviluppa in modo silenzioso e, spesso, chi ne soffre non se ne accorge e considera normali i primi campanelli d’allarme, come insonnia, irritabilità, insofferenza per i turni e poca motivazione per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La motivazione è l’elemento cardine del raggiungimento di ogni obiettivo. Individui molto motivati raggiungono livelli lavorativi che superano, nella maggior parte dei casi, le loro aspettative iniziali, questo avviene perché la motivazione si riferisce allo scopo che direziona il nostro agire. Soggetti dotati invece di scarsa motivazione, tendono ad accontentarsi di lavori che spesso non soddisfano le proprie esigenze e che appiattiscono le proprie ambizioni lavorative e limitano i propri margini di crescita professionale, conducendo conseguentemente al burnout, ad avere scarsa autostima e inappagamento in vari ambiti della propria vita. La motivazione non spiega solo il “perché” ma anche il “per chi”; alla base delle nostre azioni vi sono obiettivi sociali, il desiderio di dimostrare qualcosa, di competere, di raggiungere standard personali o Sé possibili ed eventuali. La domanda “Per chi faccio ciò che faccio” è il fondamento del fenomeno motivazionale, ma la risposta dev’essere sempre una sola: “Per me stesso”. Ricordiamo che dal burnout si può venir fuori, gli interventi per questi casi sono incrementati e i trattamenti prevedono un approccio sia a livello organizzativo che individuale. Non è semplice trasmettere la motivazione a parole, ma è certo che bisogna essere motivati per trasmettere motivazione. Un primo passo nella direzione di sviluppare un sistema di fiducia in sé stessi è quello di non confondere la competenza, data da una serie di abilità possedute, con la percezione di competenza, ovvero il sentimento libero da preoccupazioni, che porta a percepire come piacevole ed appagante anche i compiti più ardui, facendo perno sulla resilienza personale e le situazioni nuove per il gusto di agire. Questo concetto apre le porte ad una delle caratteristiche essenziali del lavoratore engaged: l’autoefficacia, cioè la percezione soggettiva espressa prima dell’esecuzione di un compito, di riuscire a controllare ed affrontare la situazione con successo. Nell’autoefficacia si distinguono la generalità, la forza e il livello. La prima riguarda quanto si espande la percezione di autoefficacia in vari ambiti e compiti, la seconda si riferisce alla profondità del sentimento di farcela ed infine la terza è data dalla quantità di percezione di controllo che la persona esperisce. La percezione di autoefficacia viene infatti espressa prima dell’esecuzione di un compito. La percezione di controllo, ossia la sensazione di controllare personalmente, di essere padroni del compito e di essere consapevoli di riuscire a portarlo a termine eccellentemente è il fattore essenziale del costrutto di autoefficacia. Obiettivi, emozioni e buone prestazioni è questa la triade della soddisfazione lavorativa; è emozionante fare bene quanto frustrante conseguire degli insuccessi o svolgere un lavoro inappagante. Le emozioni e le componenti motivazionali incidono anche sul manifestarsi di varie forme d’intelligenza, collegandosi alle capacità di prestare attenzione ed all’impegno. Sono quindi le emozioni positive a favorire prestazioni lavorative positive e non viceversa. Bisogna essere pienamente soddisfatti di Sé per fare un lavoro che ci piaccia e sarà poi anche grazie al nostro lavoro che riusciremo ad essere ancora più appagati da noi stessi e grazie a noi stessi. Ricordiamo che dal burnout si può venir fuori, gli interventi per questi casi sono incrementati ed i trattamenti prevedono un approccio sia a livello organizzativo che individuale.

Dott.ssa Ludovica Emanuela Liccardi

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