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QUANDO IL CANTAUTORATO FA LA RESISTENZA DEI SENTIMENTI

Intervista al cantautore agropolese Luciano Tarullo

Il cantautore agropolese Luciano Tarullo (classe 1990) torna sulle scene musicali dopo l’album d’esordio (L’isola, marzo 2019) che lo ha reso popolare ai più, consacrandolo ad un genere musicale molto vicino al cantautorato di Francesco De Gregori e Luciano Ligabue, che sono tra i suoi principali ispiratori. Il nuovo brano, Di Rosso e di viole, è una ballata rock che anticipa l’uscita del suo secondo lavoro, sebbene non sarà inclusa nel disco. Una scelta che è mossa dall’intento di raccontarci il suo “momento di transizione” artistica ed esistenziale, in cui Luciano sperimenta e personalizza sempre di più il suo sound, abbandona l’isola per navigare il mare aperto delle emozioni condivise e ci consegna una perla di canzone che parla di una grande storia d’amore appartenuta ad un tempo lontano, in cui l’attesa è il motore immobile della passione che travolge i due amanti (il brano è ora disponibile su Youtube e Spotify, dopo un’anteprima esclusiva sul Corriere del Mezzogiorno). I luoghi descritti da Luciano sono paesaggi antichi, all’oscuro delle dinamiche che controllano il mondo moderno. Ed è in questo contesto, puro e incontaminato, che nasce la storia d’amore da lui decantata e che dovrà, ad un certo punto, fare i conti con una realtà ben più frenetica ed inesorabile. Il giovane cantautore presta così la voce agli ideali della Resistenza dei sentimenti, che animano la sua vena artistica ed implementano la sua rara sensibilità, anche come persona. Luciano è un sognatore appassionato e alla ricerca continua dell’autenticità delle cose. Lo è nella vita di tutti i giorni, con e senza chitarra e microfono. È uno di quelli che declinano l’amore in tutte le forme possibili ed immaginabili, non necessariamente nell’accezione sentimentale del termine, perché – come lui stesso afferma, in occasione di questa intervista – non occorre essere innamorati di qualcuno per scrivere d’amore. E fa venire la voglia di crederci, in chi, come lui, crede che possa esistere qualcosa di vero nel mondo.

Il nuovo brano che hai inciso, dal titolo “Di rosso e di viole”, segna un momento di transizione importante tra il tuo primo lavoro e il secondo. Che cosa ha significato, per te, la scelta di non inserirla in nessun album?

“In un certo senso, questa canzone rappresenta una sorta di ponte tra L’isola e i progetti a cui lavorerò in futuro. La scelta di farla uscire come singolo è in parte casuale, in quanto è stata scritta dopo l’uscita del mio album d’esordio e registrata poco prima del primo lockdown, quando ancora in me non esisteva l’idea del nuovo disco. Non sono solito fare ciò, ma stavolta avevo tra le mani una canzone che racconta una gran bella storia d’amore e che avevo voglia di far ascoltare”.

Il tema principale di questo nuovo brano è l’attesa, che avvalora la grande storia d’amore di una volta, nel contempo una critica velata ma efficace ai sentimenti che si consumano in fretta al tempo dei social. Ti senti un romantico fuori dal tuo tempo?

“Forse un po’ sì. Credo fermamente che volgere lo sguardo al passato possa essere un modo per vivere meglio il presente, se non altro per riabilitare quei valori cui oggi si dà sempre meno importanza. L’attesa è uno di questi. Ma questa canzone è soprattutto un inno alla solitudine e a chi, dopo essere stato abbandonato, ha la forza di resistere nella speranza, anzi, nella certezza del ritorno del vero amore”.

“Portava i capelli dal lato del vento” è uno dei passaggi del nuovo brano che mi ha colpito maggiormente. Che cosa rappresenta per te questa immagine?

“La ragazza che descrivo nella canzone è un’anima libera e disillusa, che si distingue dalla massa ma non soffre la solitudine, tutt’altro, l’accoglie come qualcosa di naturale e necessario per preservare la propria autenticità. La frase che hai menzionato sta a significare proprio questo. Lei non si scopre mai il volto da sola, lascia che sia il vento ad accarezzarla, s’ immerge totalmente nella natura e diventa armonicamente parte di essa”.

A tuo avviso, in che modo è cambiato il cantautorato italiano? Quali sono i punti di forza e di debolezza?

“Credo che ci siano dei nuovi cantautori molto validi, purtroppo la musica è l’ambito artistico più soggetto a regole che con l’arte hanno poco a che fare e questo è un vero peccato. Molti artisti, a mio avviso, pensano prima a come fare successo e poi a scrivere canzoni. Invece, la musica dovrebbe essere il fine, non il mezzo, e dovrebbe venire prima del book fotografico, del video, di facebook e di instagram. E poi c’è il grande problema dei numeri. Una corsa incessante, una competizione senza senso su chi fa più numeri su spotify e su youtube, fumo negli occhi per l’artista stesso e per il pubblico. Questa è la più grande debolezza dei nuovi cantautori, la mancanza di sincerità. Il voler seguire per forza la moda del momento. Ma la moda passa, la musica vera resta”.

La follia più grande che hai commesso in nome della musica?

“Quando ho deciso che quella che all’inizio era solo una passione dovesse diventare a tutti i costi il mio lavoro e la mia ragione di vita”.

Prima dell’intervista, ho avuto modo di chiederti se il brano è tratto dalla tua biografia e mi hai risposto di no. L’ultima domanda allora è questa: si può scrivere d’amore senza essere innamorati?

“Quando scrivo una canzone d’amore, in quel preciso momento, sento convergere dentro di me tutte le esperienze che ho fatto e a ricreare delle figure, delle sensazioni che sono come degli ideali, partendo dal particolare fino ad arrivare all’universale. E a quel punto la speranza è che chi ascolta quella canzone possa ritrovare anche un po’ di se stesso e del proprio vissuto”.

Milena Cicatiello

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