Quentin Tarantino e l’estetica della violenza.
Per molti un genio, per tanti un regista dalle idee accattivanti, in grado di descrivere la realtà più crudele portandola all’eccesso ma sempre vicina a ciò che voleva realizzare. I suoi lavori sono sempre originali, con la “debolezza” per le scene splatter che, in ogni contesto, da quello contemporaneo alle ambientazioni western, sembrano irrinunciabili, come se volesse vergare a fuoco i suoi film. Non a caso uno dei pupilli e regista col quale collabora spesso è Robert Rodriguez, maestro in questo filone cinematografico. I film di Tarantino tendono ad esaltare il criminale, dandogli un taglio grottesco e quasi comico tanto da fartelo diventare simpatico. Il cattivo non è mai cosi cattivo. Esempi lampanti il Vincent Vega di “Pulp Fiction”, o la Jackie Brown del film omonimo, quella Pam Grier astuta e in grado di portare a termine un piano complicatissimo. Quentin Tarantino non ha un background di accademia o altro, di contro suole dire a chi gli chiede se ha frequentato una scuola di cinema, la celeberrima frase: “No, sono andato al cinema”. Una scuola sul campo con quella predilezione per i film italiani, i B-movie degli anni ‘70, di cui ha grande conoscenza e quasi una sorta di devozione, come per i grandi maestri del nostro cinema. Come tutti i registi ha degli attori iconici a cui fa riferimento per ogni sua pellicola. Uno è certamente Micheal Madsen, attore spesso sottovalutato, ma perfetto interprete del pensiero Tarantiniano. Memorabile la sua interpretazione e il suo balletto in “Le Iene” o la sua parte in “Kill Bill”. A proposito di attori, Tarantino è diventato specialista nel rilanciare le carriere di molti che erano caduti nel dimenticatoio. Già detto di John Travolta e Pam Grier, si possono aggiungere il grande David Carradine e Roger Foster, protagonisti in alcune sue pellicole. Già, le pellicole. Il primo grande successo è certamente “Le Iene”, dove un gruppo di criminali gioca a farsi fuori uno alla volta. È il film che lo lancia prima della consacrazione definitiva, con il film che tutti sanno, “Pulp Fiction”. Una sceneggiatura assurda quanto meravigliosa, in un puzzle di ministorie che si intrecciano nello spazio-tempo. Un film che ha segnato la storia del cinema per metodo e originalità. Le battute diventate iconiche non si contano, da “Sono Wolf, risolvo problemi” per arrivare a “Cioè, devo pugnalarla tre volte?”. Un film che segna una sorta di spartiacque, qualcosa di mai visto prima tanto da creare aspettative incredibili ogni anno per il lavoro di Tarantino. Certamente fuori dalle dinamiche di Hollywood, non si è mai fatto condizionare dal sistema, non cedendo a progetti megacommerciali che lo avrebbero riempito di soldi, come “Speed”, di cui rifiutò la regia. Pian piano “cede” allo star system, non nel senso letterale del termine, ma nell’uso di attori acclamati. Ed ecco che cominciano a lavorare con lui calibri come Brad Pitt e Leonardo DiCaprio. “Bastardi senza gloria” e C’era una volta ad Hollywood” che, in chiave grottesca, ripercorre il famoso attentato degli adepti di Charles Manson in casa Polanski. In mezzo “Django Unchained” con immancabile cameo per Franco Nero. La scoperta di Christoph Waltz, attore fantastico, già protagonista con Polanski in “Carnage” e divenuto perfetto interprete di suoi lavori, come “The Hateful Eight” e appunto, “Bastarsi senza gloria”. In lode alla sua amicizia con Rodriguez, si presta come attore in “Dal tramonto all’alba”. Produttore di “Hostel”, regista di episodi di “Sin City”, dove troneggia la splendida e icona sexy di chi vi scrive, Eva Green. Che dire, troppo ci sarebbe, aspettiamo il prossimo e ne parleremo.
Carlo Marrazza