Un libro dolce amaro, intriso di ricordi e crudeli verità, “Sguardo ad Oriente” di Dacia Maraini è una sapiente raccolta di articoli scritti con le maggiori testate giornalistiche, racconti e profonde riflessioni sull’Oriente. Scrittrice, ma anche grande giornalista, che fa della sua esperienza una cronaca attenta e per nulla edulcorata dai propri sentimenti per quella terra. Alla base dei suoi articoli vi sono le testimonianze di uomini i cui diritti civili sono negati in quei Paesi. Luoghi straordinariamente belli, ricchi di storia e tradizioni culturali, ma in cui la libertà di pensiero ed espressione sono represse e spesso punite anche con la morte. La Maraini afferma che la scrittura ha lo scopo di far conoscere i soprusi, le violenze e dar voce a chi non può parlare, a chi quella parola è stata tolta. Ed è quello che lei intende fare, come ha spesso fatto nella sua vita, cercare di abbattere quel muro di silenzio e dare voce alle donne afgane, costrette a mettere il velo, ai bambini indottrinati dal fanatismo religioso, ignari di tutto. Denunciare il mercato dei corpi dei bambini di Manila sfruttati, stuprati, seviziati e venduti, bambini abbandonati spesso in carceri fatiscenti e lì lasciati morire. Raccoglie in questo libro le riflessioni, i racconti da lei scritti in maniera forte e decisa mettendo consapevolmente in luce la sua denuncia, perché è giusto che le verità vengano conosciute da chi non sa o da chi sa e fa finta di non sapere. “Sguardo ad Oriente” non è solo cronaca, ma va oltre, si alternano ricordi della sua infanzia, dal suo arrivo in Giappone, con il padre Fosco, scrittore ed antropologo, che per allontanarsi dall’Italia fascista chiede di trasferirsi in quel Paese, dove nacquero anche le sue due sorelle, Yuki e Toni, della sofferenza provata nei campi di prigionia, un’esperienza drammatica di cui ricorda ancora in modo nitido il freddo, le umiliazioni e la fame, fino ad arrivare ai viaggi nello Yemen e negli altri Paesi con l’amica Maria Callas, il compagno Alberto Moravia e il caro amico Pier Paolo Pasolini. In un continuo susseguirsi di note dolci e amare si entra nella vita vissuta in quei luoghi da Dacia, ma anche quella degli uomini, donne e bambini, vittime spesso di quella stessa fede che dovrebbe diffondere pace. “Le religioni, quando diventano fanatiche e intolleranti, perdono ogni rapporto con il sentimento comune e tendono a sfasciare il mondo pur di affermarsi”…le sue riflessioni puntuali, mai polemiche arrivano dritte a chi legge lasciando un segno indelebile. La sua parola arriva fino ai giorni nostri, alla guerra in Siria, alla coraggiosa protesta delle donne afgane contro le restrizioni imposte dal regime talebano. Un continente affascinate e contraddittorio, visto dagli occhi di chi è attento alla condizione umana e sociale della popolazione. Ho letto il suo libro prima ancora di incontrarla, perché volevo essere certa di seguirla nel suo viaggio di parole e ancora una volta ne sono rimasta rapita, ascoltarla è pura poesia, un fluire intenso, pregnante, perché come lei stessa afferma “è la memoria che fa la coscienza”. Una donna, un’anti-diva, di grande cultura che illumina con il suo pensiero chi si avvicina al suo mondo.
Laura Russo