In questo numero, parliamo di uno dei più grandi cineasti della storia: Stanley Kubrick. Facile sarebbe magnificare le sue opere, ma proveremo a dare un taglio diverso del suo genio incomparabile. Prima curiosità, Kubrick non ha mai vinto Oscar, se non “tecnici”, come quello per gli effetti speciali di “2001 Odissea nello spazio”. Partiamo proprio da qui, da quel film fatto di “sottrazioni”. Pochissimo spazio al dialogo e piani sequenza infiniti, in cui lo spettatore, letteralmente, si perde. Iconiche alcune scene che, ancora oggi, sono il riferimento di un cinema visionario, in cui l’immagine prolungata e la musica hanno un forte senso “ipnoide”. Come dimenticare l’ellissi della stazione orbitante, frutto del lancio di un osso da parte di una scimmia. Dieci minuti di lento, inesorabile vuoto, riempito dalle musiche di Strauss a catapultarti in una dimensione di pura contemplazione. Hall, l’inquietante voce che accompagna il viaggio degli astronauti. Tenete conto che il film è degli anni ‘60 ed è da molti considerato uno dei picchi più alti della cinematografia mondiale. Kubrick ha spaziato in vari generi, la fantascienza, la satira politica con “Il Dottor Stranamore”, una commedia che però riesce a dare piena forma al terrore dell’Atomica durante la guerra fredda. La guerra, con “Full Metal Jacket”, la scienza sociologica, con un capolavoro assoluto come “Arancia Meccanica” in cui celebra la violenza pura, inserita in dialoghi e riflessioni dal connotato burlesco con, anche qui, delle sequenze dominate dal “Ludovico Van”, la musica di Beethoven. Film ovviamente controverso e censurato in varie parti del mondo ma che ebbe un enorme successo di pubblico e della critica. Erano gli anni ‘70 ed è importante contestualizzare il periodo. L’horror, con “Shining” che non è altro che un ritratto onirico della famiglia americana immersa in un contesto inquietante, che tira fuori il peggio dallo straordinario, inarrivabile, Jack Nicholson. Anche qui sequenze memorabili e fotografia dai forti elementi simbolici. Una sola inquadratura ne mette in luce innumerevoli. Spazi enormi e vuoti, la camera che segue per minuti il bambino col triciclo per i corridoi dell’Overlook Hotel, l’inseguimento nel labirinto ghiacciato. Perfezionista fino allo sfinimento (degli attori) era facilitato dalla sua grande passione per la fotografia, sempre memorabile nei suoi film. Si dice fosse capace di restare ore e ore a fissare una sola scena, finché non fosse stata come voleva lui. I generi toccati, come detto, sono tanti, ma hanno un unico filo conduttore, in tutti i suoi film: la condizione del genere umano, immerso nei più disparati contesti. Le sue reazioni, le sue angosce, le sue visioni, sono la trasposizione onirica delle nostre paure e dei nostri sogni. “Eyes Wide Shut” conclude il suo ciclo di film e, ahinoi, anche la sua vita. Il film è un continuo “esitare” sulle inquadrature, prolungate affinché lo spettatore si soffermi sui particolari che desidera. Gli attori recitano come ipnotizzati, in un film che è un sofisticato miscuglio tra il sonno e la veglia dei protagonisti, in cui il finale sembra rimandare al punto di partenza. Già, i finali di Kubrick, tutti volti a sfuggire alla retorica e alla morale. Il protagonista di “Arancia Meccanica” torna al punto di partenza, se possibile ancora più malvagio. Jack Torrance diventa il custode di sempre dell’Overlook Hotel, immortalato in una foto d’epoca. Nascita, evoluzione, crescita e morte in “2001 Odissea nello spazio” a simboleggiare il ciclo della vita. Kubrick è l’incarnazione del genio applicato ad una cinepresa. Film di quaranta e più anni, che hanno l’attualità del giornale appena letto.
Carlo Marrazza