Oggi, nella nostra rubrica, parliamo di uno dei grandi del cinema mondiale: Takeshi Kitano. Regista e interprete di tutti i suoi film, è stato capace di incantare con pellicole che univano comicità amara, grottesco e poesia pura. Inscindibile il sodalizio con Joe Hisaishi, autore di tutte le sue colonne sonore, un po’ come Santo Loquasto per Woody Allen. Partiamo dal suo capolavoro assoluto: “L’estate di Kikujiro”. Un film che ti entra nel cuore senza avvisarti, con musiche che accompagnano l’anima di chi è lì a vederlo. Una finta lentezza che è solo lo scorrere di un ruscello di montagna, chiaro, pulito, fresco. Non mancano il grottesco e la poesia e anche la comicità. Esilaranti alcuni passaggi col nostro, sfaccendato, fannullone, giocatore d’azzardo, che viene mandato dalla moglie ad accompagnare un bambino a trovare la madre. Un viaggio fatto di incontri, di simbolismi, di musica. Il rapporto di un bambino con un burbero accattone che, pian piano, si trasforma in affetto, senza darlo a vedere. Sublimazione finale: per tutto il film il bimbo si rivolge a lui dicendo sempre: “Signore, signore”. Finché, nell’ultima scena, quando non te ne sei accorto per l’intero racconto, il bimbo esclama: “Signore, ma tu come ti chiami?” E lui, di rimando: “Kikujiro, scemo”. Ogni scena dovrebbe essere raccontata con dovizia di particolari. Non si può. Si deve vedere. Uno di quei film che ti cambiano la vita, la prospettiva.
Il cinema di Kitano è strutturato su dialoghi asciutti e diretti che lui, in prima persona, propone in maniera aspra. Non ci sono giri di parole. Nomi pronunciati in maniera marziale, come in “Zatoichi”, in cui Kitano interpreta un massaggiatore, cieco, in un villaggio rurale, che nasconde segreti e sudditanze. Viene semplicemente chiamato, sempre e comunque, massaggiatore: “Ehi, massaggiatore. Massaggiatore, non farmi ridere”. Una sequenza di questo film farebbe sganasciare dalle risate anche un mormone dello Utah. Addestramento con spade di legno. Gesti, nulla di più, ed è questa la potenza dei suoi film. Un tic, derivante dal suo ictus, caratterizza sempre i personaggi che interpreta. Poi, pellicole con forte senso simbolico. Il Giappone delle riverenze, romanzato in chiave, quasi, di cartone animato, come nel caso di “Dolls”, altro capolavoro.
Ma Kitano non sfugge alla cruda attualità. “Brother”, il film che parla della Yakuza, organizzazione criminale giapponese, in tutte le sue accezioni, dalle più crudeli, ai gesti di coraggio e di altruismo. Chiudiamo questo piccolo affresco che, ci rendiamo conto, non può mai rendere l’idea, con un film, perdonate, per pochi eletti: “Il silenzio sul mare”. Anche qui, Joe Hisaishi è folgorante con le sue musiche, in una pellicola in cui nei primi 40 minuti non viene proferita parola. Un surf, due ragazzi che si guardano e basta. Una spiaggia di quelle che trovi nelle zone industriali. Annerita dallo smog, spartana e sempre grigia. Il finale fa capire tutto il film e la musica ti fa, letteralmente, piangere il cuore e anche tutto il resto. Parlare di Kitano è quasi impossibile, prendete questo scritto come vademecum o semplici suggerimenti per guardare i titoli che ho esposto. Da soli, in penombra, quando la pioggia batte sui vetri.
Carlo Marrazza