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TALENTI AUTOCTONI

Accade spesso, in talune realtà, che per negligenza – o dimenticanza – si proceda alla mancata valorizzazione dei talenti autoctoni. A prescindere dai campi di riferimento o dalle dimensioni di circostanza, un paese, culturalmente progredito e civilmente apprezzabile, non può – e non deve – non premiare il capitale umano che gli è proprio. Porre in auge i figli di una terra che si distinguono per capacità e potenziale – sia esso letterario, artistico, manageriale, o altro – oltre a rappresentare un atteggiamento di orgoglio e gratitudine potrebbe, al tempo stesso, tradursi in un’importante azione di marketing territoriale, quale corollario del successo in sé. Sovente, si è soliti ospitare – importare – a titolo oneroso artisti (o personaggi a vario titolo) extra-territoriali perseguendo, di riflesso, l’obiettivo di garantirsi un maggior numero di visitatori o di cooptare nuovi utenti ovvero, ancora, per procedere, a mezzo eventi culturali, alla sponsorizzazione di una data area geografica. Viene innescato, in tal maniera, però, un circolo involutivo teso a sfavorire i propri talenti, i quali, per natura di cose, dovrebbero incassare il primo e vitale supporto proprio dal luogo che li ha generati. Ci si piega, per indecifrabili anomalie, a regole alla stregua delle quali si tende a contemplare l’erba del vicino piuttosto che accorgersi di quanta meraviglia siano in grado di stillare le piante del nostro giardino se solo fossimo in grado di notarlo. Non pochi, difatti, sono i casi ove elementi di valore hanno incassato onori e gratificazione altrove, lontano dalla terra natia. Mentre, malauguratamente, hanno dovuto ritenersi estranei o sottaciuti in casa propria. Il lato negativo di tale mancanza è che potrebbe allontanarci dal concetto secondo il quale “scoprire i propri talenti aumenta la consapevolezza di avere un valore come dimensione ed un’unicità. Ciò, può aiutare a incrementare l’autostima di un paese e a sviluppare la convinzione di avere uno spazio ideale – singolare ed esclusivo – all’interno del quale riconoscersi; un vanto identificativo del quale forgiarsi”. Risulterebbe vitale, pertanto, pensare ai nostri talenti come a delle risorse cui possiamo attingere e tele sulle quali dipingere i nostri nuovi orizzonti. Occorre tenerseli stretti, senza metterli in condizione di abbandonare la terra che dovrebbero abitare perché, come sosteneva Ken Robinson “le risorse umane che ci appartengono sono come le risorse naturali, giacciono in profondità, ecco perché bisogna andarle a cercare e soprattutto bisogna creare le condizioni affinché queste si manifestino”.

Mattia Tarallo

 

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