Vi siete mai chiesti la percezione che avremmo avuto dell’Italia senza gli spaghetti nelle tasche di Totò o il bagno nella fontana di Trevi con Mastroianni?! Senza l’abbraccio aperto di Modugno o la nuvoletta fantozziana di Villaggio?! E senza L’italiano di Cutugno? L’arte è arte ed è arte tutta ma, quando questa incontra l’iconicità, è destinata a diventare storiografia. Nato il 7 luglio 1943, Toto Cutugno è stato un simbolo della melodia italiana all’Estero grazie soprattutto a L’italiano, sentito nel tempo come un “inno nazionale”. Quindici partecipazioni al Festival di Sanremo, una sola vittoria nel 1980, una storica performance in coppia con Ray Charles, Cutugno è stato un uomo di spettacolo, capace di passare con estrema disinvoltura dal cantautorato alla conduzione televisiva. “L’eterno secondo” direbbero alcuni, “troppo popolare” o “non abbastanza impegnato” direbbero altri. Portatore di un’estetica e di una leggerezza genuine, esclusivamente italiane. Un richiamo, tipico di quegli anni, che ora risulta nostalgico. L’italiano, ad esempio, il brano che ha segnato in maniera indelebile la sua carriera, si struttura come un lungo elenco dei vizi e dei pregi degli italiani, raccontati attraverso gesti e manifestazioni di tutti i cittadini della bella Italia. Quello che emerge è un vero e proprio spaccato del nostro Paese degli anni Ottanta, in cui si parla di religione, di calcio, di Pertini, noto per essere stato il “presidente partigiano”. Da questa canzone, che portò a Sanremo nel 1983, Cutugno ha avuto una grandissima popolarità, divenendo celebre anche all’Estero, riscontrando i gusti delle popolazioni dell’Est Europa, soprattutto in Russia. Su Instagram Adriano Celentano ha ricordato l’amico, scomparso il 22 agosto dopo una lunga malattia, rivelando come nacque l’opera e i motivi che l’hanno spinto a non cantare L’italiano: “Ricordo che eravamo in macchina, una cinquecento credo, e tu insistevi perché io incidessi L’italiano. Una superbomba appena ultimata, mi sembrava di volermi innalzare, a volte la troppa scrupolosità si può trasformare in una cazzata mondiale” e conclude commosso “però nonostante tu l’abbia cantata come l’avrei cantata io, oggi, se la dovessi ricantare la canterei esattamente come l’hai cantata tu”. Per quanto possa cercarsi di parafrasarne il testo, L’italiano è un brano così nitido e plastico da lasciare poco, pochissimo spazio, a chiarimenti, che risulterebbero superflui. Mi limiterò a riportarlo, nella sua pulizia, così com’è perché, come direbbe Pasolini, l’artista è colui che produce una merce inconsumabile: morirà l’artista ma l’opera, l’opera, invece, resterà inconsumata. E sfido chiunque a leggerne le parole senza incappare nell’automatismo di canticchiarle, anche solo nella mente.
Lasciatemi cantare
Con la chitarra in mano
Lasciatemi cantare
Sono un italiano
Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente
E un partigiano come presidente
Con l’autoradio sempre nella mano destra
Un canarino sopra la finestra
Buongiorno Italia con i tuoi artisti
Con troppa America sui manifesti
Con le canzoni, con amore
Con il cuore
Con più donne e sempre meno suore
Buongiorno Italia, buongiorno Maria
Con gli occhi pieni di malinconia
Buongiorno Dio
Lo sai che ci sono anch’io
Lasciatemi cantare
Con la chitarra in mano
Lasciatemi cantare
Una canzone piano piano
Lasciatemi cantare
Perché ne sono fiero
Sono un italiano
Un italiano vero
Buongiorno Italia che non si spaventa
Con la crema da barba alla menta
Con un vestito gessato sul blu
E la moviola la domenica in TV
Buongiorno Italia col caffè ristretto
Le calze nuove nel primo cassetto
Con la bandiera in tintoria
E una Seicento giù di carrozzeria
Buongiorno Italia, buongiorno Maria
Con gli occhi pieni di malinconia
Buongiorno Dio
Lo sai che ci sono anch’io
Lasciatemi cantare
Con la chitarra in mano
Lasciatemi cantare
Una canzone piano piano
Lasciatemi cantare
Perché ne sono fiero
Sono un italiano
Un italiano vero
Mariangela Maio