L’epoca è politica: una poesia di Wislawa Szymborska.
Il poeta impegnato sa bene che essere liberi cittadini significa partecipare. Oggi, più che mai, la libertà richiede uno sforzo in più del mero disinteresse o della polemica facile da tastiera: quello di essere parte attiva di questa comunità. Il disinteresse verso la politica uccide il voto libero. Il credere che tutti siano uguali uccide il pensiero libero. La libertà non è nostra di diritto e non si reclama come un oggetto che ci appartiene. Piuttosto, la si conquista. Va costruita con dedizione e sacrificio, giorno dopo giorno, facendoci uomini tra gli uomini, cittadini tra i cittadini. Certamente, anche con sacrificio, perché libertà non è fare ciò che si vuole, ma ciò che si può fare entro i limiti della legalità e nel rispetto della libertà altrui. Ed è pur sempre meglio che arroccarsi nelle proprie posizioni senza mettersi in discussione, guardare il mondo dall’alto del proprio albero (volendo citare una nota canzone di Gaber), criticandolo senza aver mai provato a cambiarlo. Questa no: non è libertà.
Siamo figli dell’epoca,
l’epoca è politica.
Tutte le tue, nostre, vostre
faccende diurne, notturne
sono faccende politiche.
Che ti piaccia o no,
i tuoi geni hanno un passato politico,
la tua pelle una sfumatura politica,
i tuoi occhi un aspetto politico.
Ciò di cui parli ha una risonanza,
ciò di cui taci ha una valenza
in un modo o nell’altro politica.
Perfino per campi, per boschi
fai passi politici
su uno sfondo politico.
Anche le poesie apolitiche sono politiche,
e in alto brilla la luna,
cosa non più lunare.
Essere o non essere, questo è il problema.
Quale problema, rispondi sul tema.
Problema politico.
Non devi neppure essere una creatura umana
per acquistare un significato politico.
Basta che tu sia petrolio,
mangime arricchito o materiale riciclabile.
O anche il tavolo delle trattative, sulla cui forma
si è disputato per mesi:
se negoziare sulla vita e la morte
intorno a uno rotondo o quadrato.
Intanto la gente moriva,
gli animali crepavano,
le case bruciavano e i campi inselvatichivano
come nelle epoche remote
e meno politiche.
(“Figli dell’epoca”, di Wislawa Szymborska)
Milena Cicatiello
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