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UNA SOCIETÀ SENZA FUTURO

Come sarà il futuro nel futuro?

D’accordo, comprendo che la domanda possa suonare strana, eppure uno dei modi più efficaci per valutare il presente è sempre stato osservare il tipo di lettura che si ha del futuro. Intorno all’anno 1000, non tanto per motivi scientifici quanto per la esasperata pressione della morale religiosa, il futuro fu proprio cancellato dall’immaginario collettivo e ci si proiettava dritti nell’Apocalisse biblica. Facendo un grande salto in avanti arriviamo alla effervescente “Belle Epoque”, anni di grande innovazione, in cui, non a caso, il futuro veniva disegnato, come testimoniano i lavori di Verne, come il susseguirsi di grandi conquiste del genere umano grazie alla scienza, alla tecnologia e alla continua esplorazione. Durante le due guerre il futuro torna a essere poco raffigurato e, a tratti, catastrofista e poco umanizzato. La tecnologia scalza l’uomo e lo meccanicizza, come nella “Metropolis” di Lang o nei “Tempi moderni” di Chaplin. Dal Dopoguerra a oggi, il futuro ha continuato a essere rappresentato a tratti in maniera edonistica, conquiste tecnologiche e fantascienza per lo più positiva, George Lucas ma anche Asimov e, a tratti, invece, in maniera pessimistica, “1984” di Orwell, “La fuga di Logan” di George Clayton Johnson e William F. Nolano, se non addirittura “post-atomica”, i vari “Mad Max” di George Miller, Mark Sexton e Nico Lathouris. E poi, attraverso questa breve e minimalista analisi, arriviamo all’oggi da calendario. L’ultra contemporaneo, ovvero i giorni che stiamo vivendo uno a uno senza trovare un filo conduttore che possa avere un senso comunemente rappresentabile come visione sintetica dell’Umanesimo odierno. Un oggi in cui, purtroppo, una delle vittime più illustri è proprio il futuro. La linea o la circolarità temporale sembra essersi ancora una volta inceppata in un presente assente. E la pandemia non può essere il capro espiatorio né la giustificazione al tutto, anzi, all’assordante chiasso del nulla. Si avverte da anni la mancanza di laboratori. Già! Quelli che preparavano a essere sociali, politici, intellettuali. Anche la tecnologia, spesso vista come un nemico, in un assetto laboratoriale riacquisterebbe il suo ruolo di elemento facilitatore e di opportunità, esattamente come lo sono state tutte le conquiste mediatiche, la stampa, il cinema, la radio, la musica, la televisione. Se non si recupererà un approccio di questo tipo, se ciascuno continuerà a considerarsi formatore di se stesso, a partire dalla cultura, oltre a compromettere il presente delle nuove generazioni saremo responsabili di aver edificato una “società senza futuro”.

Milena Cicatiello

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